Dalle bombe ai gioielli etici: la storia di No War Factory che aiuta i villaggi del Laos

di Veronica Rossetti
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Intervista a Massimo Moriconi e sua moglie Serena Bacherotti, fondatori assieme a Riccardo Biagioni, di No War Factory, l’azienda di Viareggio che crea gioielli per la pace, derivati dalle bombe del Laos.

Nata nel 2019, No War Factory è un’impresa del settore orafo-gioielliero italiano che realizza gioielli “contro la guerra in Laos”, ricavati da alluminio riciclato degli ordigni bellici risalenti ancora alla devastante guerra del Vietnam. I manufatti racchiudono un messaggio di pace: trasformano l’orrore della guerra in un’occasione di riscatto economico-sociale per gli abitanti di una delle zone più martoriate dai conflitti e dalle bombe al mondo.

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Oltre ad aiutare i villaggi poveri, No War Factory ha all’attivo collaborazioni con le principali ONG italiane e diversi progetti di sostenibilità in corso. Di questo e molto altro, abbiamo parlato con i fondatori Massimo, Serena e Riccardo.

Com’è nata No War Factory?

Nasciamo ufficialmente nel 2019. L’idea di fondare un’impresa si è presentata girovagando per i mercati di Luang Prabang: alcuni artigiani vendevano dei semplici cucchiai che poi abbiamo scoperto provenire dalla fusione di materiale bellico rimasto nelle risaie dopo la guerra. Le nostre origini, tuttavia, risalgono al 2014, con l’associazione umanitaria Ink for Charity. L’associazione parte con il finanziamento di progetti in Cambogia per poi proseguire il proprio percorso in Laos seguendo lo sviluppo di progetti nei villaggi rurali, principalmente con la distribuzione di filtri indispensabili a potabilizzare l’acqua.

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L’associazione “INK for Charity”, ora chiusa, ha collaborato a sua volta con l’associazione canadese “Adopt a Village in Laos” per lo sviluppo di progetti umanitari nei villaggi rurali, principalmente per quanto riguarda la distribuzione di filtri in ceramica trattati con argento colloidale, indispensabili per rendere potabile l’acqua di tali zone. No War Factory, tramite la neocostituita associazione Sons Of Mine, continua questo percorso di opere idriche nei villaggi tutt’oggi. Sons of Mine attraverso una raccolta fondi si prefigge di perseguire, anche con altre associazioni, enti e organismi pubblici e privati sia nazionali che internazionali, la costruzione di infrastrutture, la distribuzione e approvvigionamento di acqua potabile per le famiglie delle zone rurali e lo sminamento di diversi territori nel sud est asiatico e particolarmente in Laos.

Qual è la vostra mission?

Lo scopo che ci ha spronato a fondare l’azienda è il bisogno di raccogliere fondi per i villaggi del Laos. Questo è ciò che racchiude completamente la mission: creare una mini-economia circolare che permette di dare sostentamento a questi villaggi di artigiani. Allo stesso tempo, vendere questi oggetti per far conoscere alla gente una storia poco nota e raccogliere fondi per finanziare i progetti.

Com’è nato il vostro e-commerce e come ha cambiato il vostro modello di business?

Il nostro e-commerce nasce dalla necessità di ampliare a un maggior numero di persone possibile la storia di questi prodotti. L’ e-commerce nato contestualmente a No War Factory, ci è sembrata da subito la soluzione più semplice e più economica per raggiungere il maggior numero di persone.

Quanto è importante per voi, la trasparenza e della qualità in termini di prodotti e processi produttivi?

I nostri prodotti sono stati certificati per non avere tossicità, nichel e ovviamente alcuna radiazione. Ma più della qualità, è la trasparenza e la storia dalla quale nasce il prodotto che ci interessa. I nostri gioielli non provengono da materiali pregiati ma da materiali di recupero. La filiera è estremamente semplice: gli artigiani del villaggio acquistano le carcasse trovate dai metal detector delle compagnie di recupero nelle risaie, poi le fondono in piccoli forni nel cortile di casa. Tramite il metodo “a staffa”, colano il metallo negli stampi in argilla e creano i monili.

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I manufatti vengono poi rifiniti e trasformati in gioielli in Italia, mediante l’aggiunta di pietre e argento, grazie alla preziosa collaborazione con l’orafa artigiana Francesca Barbarani. Il 10% netto dei profitti derivanti dalle vendite dei prodotti viene poi destinato da No War Factory ai villaggi del Laos. Gli artigiani del villaggio non sono nostri dipendenti, ma lavoratori in autonomia. Noi acquistiamo i pezzi direttamente da loro, al prezzo fissato dalle famiglie.

Più nel dettaglio, come collaborate con gli artigiani del Laos?

Collaboriamo dal 2017 con gli artigiani di 13 famiglie che abitano nel villaggio di Ban Naphia, un tradizionale villaggio Lao Pouan, con l’intento di fornire loro un valido aiuto. Nel 2017 riusciamo a distribuire 69 filtri per depurare l’acqua alle famiglie del villaggio di Ban Naphia, nella zona denominata “La Piana delle Giare”. Questa Piana del Laos è ancora cosparsa da ordigni a causa della “guerra segreta” portata avanti dagli americani durante il conflitto in Vietnam.

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La popolazione di questo villaggio da anni realizza utensili di uso comune e bracciali, riciclando l’alluminio ricavato da scarti di ordigni bellici. Gli artigiani raccolgono i frammenti di bombe e altri scarti bellici, in totale sicurezza, solamente dopo che le zone sono state bonificate dall’associazione MAG (Mine Advisory Group), un’organizzazione non governativa internazionale che si occupa di sminamento e di rimozione di ordigni inesplosi e da UXOlao, agenzia di sminamento locale.

Noi sosteniamo l’economia del villaggio acquistando i loro prodotti, contribuendo ogni anno ad aiutare le agenzie che si occupano di sminare le risaie e, compatibilmente con i ricavati e grazie alle donazioni, finanziamo i progetti idrici della zona.

Come avviene il recupero dei materiali per realizzare i vostri gioielli?

Dai materiali bellici recuperati nel terreno viene estratto l’alluminio utilizzato per le nostre lavorazioni. L’estrazione di ordigni dal terreno è un lavoro potenzialmente pericoloso e richiede nervi saldi e molta pazienza. Per evitare incidenti, si segue una procedura specifica per lo sminamento dei potenziali ordigni. Il terreno da liberare dagli ordigni inesplosi (UXO) viene diviso in griglie. Le squadre di sgombero lavorano lungo le griglie con i metal detector per identificare gli oggetti e liberano gli ordigni, principalmente nei terreni agricoli. La zona viene poi liberata fino a un minimo di 2,5 metri, consentendo la lavorazione sicura del trattore e degli aratri trainati da bufali, tradizionalmente utilizzati per questo lavoro in Laos.

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Quando un metal detector identifica la presenza di metallo, il luogo viene marcato sul terreno e trascritto su una mappa con l’aiuto di un GPS. Fino a quando il metallo non viene estratto, non possiamo sapere se si tratta di un ordigno inesploso o di semplice metallo. In seguito, viene scavato il terreno mediante una pala apposita, fino a scoprire la natura dell’oggetto: una volta identificato verrà deciso se rimuoverlo o distruggerlo. In alcuni casi si decide di rimuovere l’innesco prima di procedere alla distruzione.

Infine, avete attivato molte collaborazioni con onlus come Emergency, Dynamo Camp, Sons of Min. Potete spiegare quali sono le più significative e i progetti solidali avviati con questi enti non profit?

Sons of mine è l’associazione che ci rappresenta, è l’appendice attraverso la quale No War Factory finanzia i progetti. Per quanto riguarda le altre associazioni, hanno per noi tutte la stessa importanza, da Give me a Hand, che è una realtà abbastanza piccola che sia occupa di costruire protesi con stampanti in 3d per bambini mutilati ad Arci, o Emergency, o Dynamo Camp, realtà molto più grandi per le quali abbiamo creato dei braccialetti o dei gadget appositamente per loro: a ogni pezzo venduto doniamo una percentuale del prezzo di vendita.

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