Essere sempre più meritevoli del supporto dei donatori: è l’obiettivo di Oxfam Italia, confederazione di ONG con oltre 70 anni di esperienza dedicata alla lotta alla povertà in tutto il mondo. Insieme agli aiuti umanitari e ai progetti di sviluppo in ambito rurale, la missione delicata è quella di portare acqua e servizi igienico-sanitari nelle emergenze.
Costituita da 18 organizzazioni di diversi Paesi del mondo, Oxfam ha sede in Australia, Belgio, Brasile, Canada, Colombia, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Hong Kong, India, Irlanda, Italia, Messico, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Quebec, Spagna, Stati Uniti d’America, Sudafrica e Turchia. Le organizzazioni affiliate lavorano con circa tremila partner localizzati in oltre 90 Paesi del mondo per dare alle persone più povere e vulnerabili il potere necessario a migliorare le proprie condizioni di vita e a influenzare le decisioni che le riguardano.
Marta Pieri, Head of Private Sector Partnership di Oxfam Italia, racconta la sua esperienza a CSR Stars: «Tutti parlano di sostenibilità, ma c’è il rischio che il concetto stesso di sostenibilità si svuoti, perdendo tutta la sua integrità. Quando parliamo di trasparenza, spostiamo l’attenzione sul tema dell’impatto che la donazione ha generato: questa è la vera informazione che dovrebbe stare a cuore ai donatori».
Come nasce Oxfam?
Oxford Committee for Famine Relief nasce in Gran Bretagna nel 1942, per portare cibo alle donne e ai bambini greci stremati dalla guerra. Nel 1965 adotta il nome “Oxfam”. Da quasi 80 anni Oxfam porta aiuto nelle più gravi crisi umanitarie del mondo, conducendo numerose ricerche e studi di settore che gli hanno permesso di posizionarsi tra gli esperti mondiali nei temi dello sviluppo.
Qual è il ruolo che lei ricopre in questa Onlus?
Io sono in Oxfam da più di 10 anni e ho contribuito allo sviluppo dell’area che ha come obiettivo il coinvolgimento del settore privato. Oggi sono Head of Private Sector Engagement e insieme al mio team cerchiamo di definire percorsi di collaborazione con le aziende che possano mobilitare risorse, atteggiamenti e competenze per una società più equa e inclusiva.
Come nasce la sua passione per il Terzo settore?
Da trent’anni di scoutismo, da una forte empatia che mi ha sempre permesso di guardare il mondo anche dal punto di vista dei più fragili, osservando ingiustizie e contraddizioni. Ho fatto esperienze nel settore privato e ho voluto guardare la realtà da entrambi i punti di vista. Adesso credo in quello che sto facendo, ho raggiunto un equilibrio che guarda alla collaborazione tra i due mondi in modo molto pragmatico ed efficace.
Quali sono i progetti e le iniziative principali della Onlus?
A maggio c’è stata la settimana dell’Oxfam Festival, una prima edizione di eventi e incontri sui vari aspetti delle diseguaglianze e gli impatti nelle future generazioni: accesso al lavoro, alle cure sanitarie, il tema della povertà educativa e come contrastarla e le proposte per un settore privato più responsabile e consapevole dei propri impatti sui diritti umani nei processi produttivi e nelle relazioni con i fornitori. Questo in particolare sarà un ambito in cui nei prossimi mesi lavoreremo molto. Abbiamo un programma specifico, chiamato Business Advisory Service, che ha l’obiettivo di sostenere le aziende realmente interessate a un approccio responsabile al business, con formazione, accompagnamento nelle analisi dei rischi, nella definizione delle policy e implementazione di pratiche per un impatto sociale positivo. Il settore privato gioca un ruolo fondamentale nella lotta alle diseguaglianze, è fondamentale trovare un terreno di dialogo.
Stiamo lavorando con aziende italiane e multinazionali e nei prossimi mesi pubblicheremo due rapporti, risultato di analisi approfondite in filiere food molto critiche, che speriamo stimolino riflessioni in tutto il settore.
Qual è l’esperienza con il digitale nella raccolta delle donazioni?
Per Oxfam, come per molte altre organizzazioni, il digitale è fondamentale. Chi dona vuole sapere a cosa sta contribuendo, vuole conoscere il proprio impatto e con le nuove tecnologie è possibile avvicinare donatori ai programmi. Riusciamo a raccogliere dati, testimonianze e dare conto ai donatori di ogni singolo euro investito. Inoltre riusciamo ad arrivare a molte più persone ampliando gli effetti delle nostre campagne. Oggi è molto più semplice informarsi ed esprimere la propria adesione a una causa attraverso azioni e strumenti digitali, e per noi è uno strumento di engagement importante che mentre ci permette di condividere contenuti, lascia comunque al sostenitore la libertà di scelta.
Cosa pensa della trasparenza nelle Onlus?
Beh è una domanda che ha del retorico: chi non è d’accordo sulla necessità di trasparenza? Il punto non è tanto questo, scontata e da sempre praticata da chi soprattutto come Oxfam riceve fondi pubblici-istituzionali (in passato abbiamo anche vinto l’Oscar di Bilancio Sociale). Il punto che crea scalpore è un altro. Con il livello di dettaglio e quindi di trasparenza che come settore abbiamo raggiunto, è stato puntato il dito su voci che i donatori preferivano, forse ingenuamente, non vedere e che sono invece segno di forte strategia e garanzia di efficienza. Mi riferisco alle voci di investimento nella comunicazione e raccolta fondi. Ad Oxfam raccogliere 1 euro di donazione costa 9 centesimi. Chi ci dona 10 euro sa che poco meno di 1 euro sarà utilizzato per raccoglierne altri 10, ed è vitale per noi farlo. È un investimento che ci permette di avere altre risorse da destinare ai programmi, e aumentare l’impatto delle nostre attività.
Solo le mie figlie che fanno autofinanziamento con gli scout vendendo dolci destinano il 100% del raccolto alla causa, perché ci siamo noi genitori che finanziamo l’acquisto degli ingredienti. È sicuramente una modalità di raccolta fondi, ma non certo strategica e sostenibile. Ecco, quindi quando parliamo di trasparenza, spostiamo l’attenzione sul tema dell’impatto che la donazione ha generato, questa è la vera informazione che dovrebbe stare a cuore ai donatori: quante persone ho raggiunto con il mio gesto? Come ho migliorato la loro vita?
Cosa pensa della Responsabilità Sociale delle imprese (RSI)?
Non diciamoci soddisfatti del fatto che oggi non c’è programma politico o piano aziendale, comunicazione di prodotto che non abbia la parola “sostenibilità” al centro, anzi consideriamolo un grande rischio. Rischio che il concetto stesso di sostenibilità si svuoti, perdendo tutta la forza trasformativa e generativa di cui abbiamo bisogno di fronte alle prossime sfide. Oggi, come ha ben espresso il professor Mario Calderini, il punto non è parlare di sostenibilità ma difenderne la sua integrità di significato. Chi ha a cuore la sostenibilità, quindi il rispetto delle risorse come garanzia di prosperità e inclusione per le prossime generazioni deve prepararsi ad essere radicale, per impedire che il principio venga diluito fino a diventare inutile.
Oxfam nel suo lavoro con il settore privato ha come riferimento le Linee Guida delle Nazioni Unite in tema di Business e Diritti Umani e preferiamo parlare di condotta di business responsabile verso l’ambiente e verso i diritti umani. La RSI è volontaria, mentre il rispetto dei diritti umani è una responsabilità di base che tutte le aziende hanno e da questa certezza si deve partire prima di pensare a qualsiasi bella attività di RSI. Pensiamo agli stessi obiettivi dell’Agenda 2030 (gli SDG): davvero difficile pensare di raggiungerli con investimenti nelle comunità se prima non azzeriamo o gestiamo gli impatti negativi che vanno a peggiorare le loro stesse condizioni.
Che esperienza ha di imprese che gestiscono le problematiche d’impatto sociale ed etico al loro interno e nelle zone di attività?
Le imprese con cui collaboriamo in tema di policy e pratiche di condotta di business responsabile stanno davvero facendo un lavoro egregio. Riscontriamo un approccio e un commitment davvero serio. Ci confrontiamo con manager curiosi, determinati a capire come poter fare meglio le cose e a volte anche timorosi di trovarsi di fronte a grandi sfide. Ma quando c’è una visione ambiziosa da parte dell’azienda, il nostro ruolo è quello di trasformare l’ambizione in realtà, a piccoli passi con obiettivi realistici. Partiamo dal conoscere a fondo la situazione e i potenziali rischi e criticità e poi suggeriamo percorsi e strumenti per affrontarle e risolverle, spesso non da soli, ma con tutti i soggetti coinvolti. Sempre in riferimento alle UNGP (United Nations Guiding Principles on Business and Human Rights), crediamo molto nell’efficacia della due diligence (dovuta diligenza) in materia di Diritti Umani, come strumento fondamentale per gestire il proprio impatto lungo tutta la filiera.
Con Lavazza stiamo approfondendo i potenziali rischi nella filiera del caffè, con Bolton lo stiamo facendo nella filiera del tonno, con Sofidel stiamo lavorando insieme sui temi di diversità equità e inclusione. Con Coop Italia stiamo portando avanti un bellissimo percorso sull’equità di genere in alcuni loro fornitori strategici, mentre con Princes Industrie Alimentari, all’interno di una collaborazione con Coldiretti, stiamo affrontando il tema del lavoro equo e la lotta al caporalato. Tutte grandi sfide ma affrontate con pragmaticità e grande commitment da parte delle aziende stesse.
Progetti futuri?
Fare sempre meglio quello che stiamo già facendo per essere in grado di rispondere alle necessità e alle sfide con sempre maggiore efficienza. L’accoglienza di chi scappa dall’Ucraina come da altre situazioni di crisi, la crisi alimentare già presente in diversi territori che andrà peggiorando nelle prossime settimane, la crescita delle diseguaglianze nel nostro Paese, la crescente povertà educativa, sono tutte sfide che ci devono trovare pronti. Essere sempre più meritevoli del supporto dei nostri donatori – aumentando la nostra capacità di raccontare e dare conto di quello che facciamo, dell’impatto che con il loro contributo generiamo – è un obiettivo importante che merita tutto quel 9% dei fondi raccolti che investiamo!