Attraverso le sue policy di sostenibilità ambientale e sociale, Lush lancia messaggi e iniziative per un mondo migliore.
Prodotti che si auto-annunciano da lontano, quando per strada senti un profumo che ti solletica i sensi e rinvigorisce l’umore a mano a mano che ti avvicini ad uno dei punti vendita Lush. Da quel primo negozio aperto in Inghilterra nel 1995, Lush ne ha fatta di strada. Oggi i prodotti Lush, cosmetici fatti a mano, sono venduti in 937 negozi, in 47 paesi.
Saponi, creme, shampoo profumati, belli e divertenti, diremmo che sprigionano quello humour britannico che stuzzica sempre un po’ l’intelletto e che si fa spesso portatore di messaggi anche importanti e sempre attuali. E così, con una saponetta glitterata con il messaggio Gay Is Ok, il brand si schiera a favore della comunità LGBT+ o con un sapone dotato di una pinna conduce una campagna per la salvaguardia degli squali.
Quando di parla di RSI (Responsabilità Sociale d’Impresa) o CSR per dirla con gli anglosassoni, «possiamo dire che noi di Lush siamo nati sostenibili da sempre», commenta Alessandro Andreanelli, AD di Lush Italia. «Sin dagli inizi, negli anni ’90, i fondatori sono stati molto attenti all’ambiente, ai diritti delle persone e degli animali e ci siamo dati degli obiettivi anche in termini sociali».
Il vostro impegno per l’ambiente e gli animali è abbastanza evidente, con prodotti venduti senza packaging per garantire un minor impatto ambientale e dichiaratamente “cruelty free”, cioè non testati sugli animali. Dal punto di vista sociale invece, come perseguite la sostenibilità?
«Siamo un’azienda che esercita il brand activism non solo a parole. Prendiamo posizione e lo facciamo in modo chiaro, come negli esempi che hacitato più sopra. Siamo per l’inclusione e il rispetto, a partire dalle persone che lavorano con noi. È uno dei motivi per cui sui nostri prodotti viene indicato il nome e la faccia della persona che lo ha realizzato, perché sappiamo che ognuno di noi è prezioso per il futuro dell’azienda.
Cerchiamo di avere un impatto positivo sulle comunità locali, ad esempio facendo beneficenza a onlus o associazioni, anche piccolissime, che realizzano progetti nei centri in cui operano. La nostra scelta di non fare pubblicità a pagamento ci consente di usare quei fondi per questo tipo di iniziative.
A più ampio spettro, quando facciamo un progetto di sourcing di ingredienti per i nostri prodotti, spesso presenti in paesi disagiati, il nostro progetto si occupa anche delle comunità, aiutando l’imprenditore e aiutando le persone che lavoreranno in quel progetto, come è successo in Kenia, dove, grazie al lavoro nella piantagione di aloe, le donne hanno potuto emanciparsi ed evolvere. Il nostro è un principio di rigenerazione, di restituire alla società e all’ambiente».
Insomma, mi consenta di dire che le vostre sono azioni che non si dissolvono con la velocità di una saponetta…
«Direi proprio che è così. Siamo molto impegnati su vari fronti ed abbiamo policy etiche che si evolvono e vengono aggiornate di pari passo con i cambiamenti che si verificano nel mondo. L’estate scorsa abbiamo usato la nostra voce per chiedere una legge al parlamento italiano attraverso la campagna intitolata Cittadinanza Nero su Bianco. La richiesta, anche attraverso una petizione, di una nuova legge sulla cittadinanza, per riconoscere i diritti di quegli italiani che oggi non li vedono riconosciuti. Parliamo di oltre un milione di persone, giovani figli di immigrati, nati in Italia o arrivati da piccoli, che spesso conoscono poco o nulla del paese da cui provengono i loro genitori. Crescono in Italia, frequentano la scuola italiana, i loro amici sono italiani, parlano italiano e spesso anche in dialetto. Abbiamo il dovere morale di mettere nero su bianco una nuova proposta di legge, dobbiamo leggere la realtà del nostro Paese e fare un grosso lavoro di inclusione. In quell’occasione abbiamo creato una bomba da bagno in edizione limitata ed il ricavato delle vendite è stato donato a The Black Post per supportare il loro lavoro di informazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica».
Che peso ha dunque il tema della responsabilità sociale per le aziende?
«Un peso sempre più grande. Le persone non comprano più soltanto il prodotto e sono anzi sempre più attente ai comportamenti delle aziende in ambito sociale ed ambientale. Questo trend si è accentuato dopo la prima ondata della pandemia. È fondamentale però, per il bene di un’azienda, che il messaggio che diffonde sia coerente con il suo comportamento per evitare di fare solo una propaganda che poi si ritorcerebbe contro, oltre che in termini di immagine, anche in termini di profitto. È in ogni caso importante che si parli di queste tematiche per accrescere la sensibilità tanto dei consumatori, specie quelli più giovani, quanto dei brand».