La onlus è nata nel 2001 per rispondere a una richiesta di aiuto fatta da una suora nigeriana a un gruppo di medici e paramedici salernitani. Da allora l’associazione S.O.Solidarietà opera con i suoi volontari in campo sanitario, sociale, scolastico per supportare le strutture e difendere i diritti di donne e bambini nei diversi Paesi africani.
L’Associazione di volontariato internazionale S.O.Solidarietà Onlus da oltre venti anni si prende cura dei più bisognosi, in particolare in Nigeria. Nigeriana era infatti Maria Norom, la suora dell’Ordine del Preziosissimo Sangue che chiese aiuto per alleviare la povertà della gente del suo paese a Maria Aolide Tonin, presidente di S.O.Solidarietà Onlus, medico ginecologo.
«Dopo essere rientrata dall’Africa, dov’ero andata per rendermi conto della situazione – racconta la Tonin – ho raggruppato amici e colleghi medici, un gruppo di dieci persone, animate dalla voglia di fare qualcosa per lottare contro la povertà di quei luoghi. Dopo aver fatto un po’ di esperienza, abbiamo deciso di creare l’associazione».
«Siamo rimasti in pochi ma continuiamo la nostra attività con l’entusiasmo e l’impegno di sempre, cercando di coinvolgere quante più persone possibile nelle nostre iniziative per realizzare i progetti in Nigeria», spiega la presidente (che i più preferiscono chiamare “Lola”).

Lola Tonin
L’associazione, nata per portare aiuto in ambito sanitario, ha infatti ampliato il proprio raggio di azione.
«Il nostro primo progetto è consistito nel ripristinare un ospedale in Imo State (l’ex Biafra) che oggi, grazie al sostegno della Chiesa locale, è diventato un grande ospedale, importante anche per l’attività di formazione che si svolge al suo interno. Stando sul posto, vivendo nel villaggio, ci siamo però resi conto che le emergenze erano anche altre. In particolare quella dei bambini di famiglie numerose e molto povere, abbandonati a sé stessi mentre i genitori sono impegnati a lavorare per portare a casa qualcosa per il sostentamento».
Come supportate questi bambini?
«Da circa sei anni, abbiamo costruito una “Happy Home”, un centro diurno con biblioteca, giochi, aule per il dopo-scuola, cucina, bagni, docce, seguito da tre insegnanti, dove i bambini possono trascorrere le ore dopo la scuola, facendo i compiti e socializzando con i loro coetanei, lontani dai pericoli della strada».
A quale attività tenete maggiormente?
«A quella che può incidere più di altre sulle vite di questi bambini e delle loro famiglie: il Sostegno a Distanza (SAD). Crediamo infatti che aiutare chi vive in una realtà tanto difficile – fornendo loro cibo, cure mediche, sicurezza e supporto allo studio – significhi donare la possibilità di cambiare la propria vita. È un atto estremo di solidarietà. Abbiamo sostenuto 56 ragazzi con il Sostegno a Distanza e siamo orgogliosi che una di loro si sia laureata e altri cinque stiano frequentando l’università».
In che altro modo declinate la parola solidarietà?
«I nostri interventi sono volti a migliorare le condizioni di vita di queste persone. Abbiamo dato vita a un campo estivo sportivo che è stato frequentato da 700 ragazzi per due volte alla settimana. Con la parrocchia di Saint Michael (nel villaggio di Atta, governo locale di Ikeduru, nell’Imo State a sud-est della Nigeria) abbiamo organizzato una sorta di scuola di arti e mestieri con computer, sartoria, parruccheria, falegnameria, dove i ragazzi possono imparare un mestiere e dove vendono il servizio o il prodotto che realizzano, guadagnando anche un piccolo gruzzolo per sé e la famiglia. Abbiamo creato un progetto di orti familiari per rendere i nuclei auto-sussistenti: lo scorso anno abbiamo messo in piedi la prima cooperativa agricola che, ci auguriamo, possa diventare autonoma. Il prossimo progetto – speriamo venga approvato – è quello di insegnare a questa gente la coltivazione dei funghi».
Cosa si potrebbe fare ancora?
«Aumentare il sostegno a distanza, perché è l’intervento che offre maggiori opportunità e speranze alle nuove generazioni e ai loro familiari. Il criterio è di scegliere solo famiglie particolarmente disagiate per questa forma di aiuto. E poi, per i nostri progetti, considerato che siamo tutti volontari, sarebbe motivante un aumento delle donazioni e del numero dei volontari: purtroppo non siamo mai abbastanza…».
Come sostenete le spese dell’associazione e i progetti?
«Viviamo delle donazioni liberali in denaro dei nostri benefattori, di donazioni di beni di vario genere (articoli di cartoleria, cibo, abbigliamento, solo per fare qualche esempio) che spediamo con i container in Nigeria. Poi partecipiamo a bandi appositi a sostegno della nostra progettualità».
«Prossimamente vorremmo essere presenti su piattaforme di crowdfunding», aggiunge Rosi Bianco, figlia di Lola nonché tesoriere dell’associazione. «Contiamo anche sulla sensibilità di persone di altri Paesi: l’emergenza Africa è ancora drammaticamente attuale».
È possibile donare anche il 5×1000?
«Certo – continua Rosi – purtroppo però il 5×1000 non viene preso molto in considerazione nel Sud Italia: forse si preferisce fare solidarietà in maniera più diretta e istintiva, senza pensare che quello che non viene donato con questa modalità va perso… Riceviamo invece più donazioni del 5×1000 dal Nord Italia. Per questo faccio un appello, sia ai contribuenti che ai commercialisti, a sensibilizzarsi su questo tema: esistono tante associazioni come la nostra che hanno davvero bisogno di un piccolo-grande sforzo».