Intervista al direttore Relazioni Istituzionali e Comunicazione di BMW Italia. «Oggi non basta garantire rendimenti agli azionisti: occorre portare valore sociale anche al territorio di riferimento. Specialmente i giovani, a parità di offerta, guardano più all’orientamento sostenibile di un brand che al prodotto in sé».
Dottor Olivi, la sua è una formazione umanistica, si occupa di comunicazione, è giornalista, speaker. Che significa oggi gestire la comunicazione di un brand famoso in un mondo dove i messaggi sono spesso veloci e superficiali?
Alla base c’è curiosità e apertura perché ormai il nostro mondo ci ha abituato a una velocità di trasformazione esponenziale. Se prendiamo questi ultimi due anni, vediamo che è cambiato tutto, specie in termini tecnologici. Una fase simile me la ricordo all’epoca in cui Steve Jobs presenta l’iPhone: nemmeno i capi delle aziende tecnologiche più avanzate del tempo si aspettavano che in due anni il mondo della comunicazione venisse completamente rivoluzionato. Come ha scritto Alessandro Baricco nel suo saggio “The Game” (vedi la sua lectio magistralis in fondo a questa intervista), alla fine la sensazione non era più quella di possedere un telefono migliore degli altri: significava avere il mondo in tasca. Fino a quel momento non era pensabile rimanere connessi 24 ore al giorno, traguardare i confini in modo così istantaneo… Penso ai comunicatori, a chi faceva il nostro mestiere una quindicina di anni fa: era tutto diverso, se scoppiava una crisi in Cina, ci volevano tre-quattro giorni prima che arrivasse da noi. Quindi potenzialità ma anche grande complessità.
Tutto questo, per noi che ci occupiamo di comunicazione, diventa una grande opportunità di entrare in contatto con una platea diversa, verticale ma anche orizzontale: laddove in passato tutto veniva mediato da interlocutori esterni – marketing, pubblicità, eventi – oggi la narrazione di brand si trasforma perché le aziende diventano esse stesse dei media. Siamo diventati come dei direttori di giornale che devono stare attenti a ciò che viene detto del tuo brand sia all’esterno ma anche all’interno, a cosa esce dal cuore dell’organizzazione verso gli stakeholder. Anche gestire la comunicazione dei singoli manager diventa un asset fondamentale per un’azienda: ciò che racconta il CEO in prima persona è fondamentale perché lo fa in modo diretto, il messaggio è senza dubbio più autentico e coerente.
Questo è un magazine che parla di responsabilità sociale delle imprese. A che punto siamo in Italia su questo tema? Quali sono i punti d’attenzione che le imprese seguono di più e quelli invece trascurati?
In ottica di sostenibilità, devo dire per esperienza che sono stati fatti grandi passi in avanti dalle aziende, c’è stata un’accelerazione nel grado di sensibilità su questi temi. In una prima fase la responsabilità sociale veniva vissuta un po’ come un obbligo, specie dagli imprenditori delle PMI che sostenevano alcune strutture del territorio – ospedali, scuole o altro – più con un approccio privato che tramite una strategia d’impresa. Era un modo di dare alla collettività e ai propri dipendenti un segnale personale, di restituzione al contesto dove l’azienda operava.
Oggi invece si è finalmente compreso che la sostenibilità è un asset vero e proprio, che va gestito e valorizzato anche grazie a tutti i media di cui disponiamo. Sappiamo per certo che un’azienda viene scelta quando i consumatori si identificano con i valori dell’impresa, quando c’è un’identità simile su alcuni temi caldi. Specialmente i giovani, a parità di offerta, guardano più all’orientamento sostenibile del brand che al prodotto in sé… Ecco perché le aziende del terzo millennio devono portare avanti politiche sostenibili, consapevoli dell’importanza che questo avrà sui mercati di riferimento.
Molti ricordano quando nel gennaio 2020 Larry Fink, CEO del colosso finanziario Blackrock, nella sua lettera agli stakeholder annunciava una vera e propria svolta verde, spiegando come la sostenibilità dovesse diventare il principale standard di riferimento per orientare gli investimenti delle multinazionali. «Per prosperare nel tempo – ha scritto Fink – ogni azienda deve produrre non solo utili ma anche mostrare come contribuisce positivamente alla società». Un vero cambio di paradigma che ha influenzato il mondo della finanza: da allora si è definitivamente capito che non era sufficiente restituire valore agli azionisti, occorreva portare anche valore sociale al territorio di riferimento.
Come si riflette tutto questo in BMW?
Forse non tutti sanno che la BMW è stata più volte nominata l’azienda automobilistica più sostenibile del mondo nel Dow Jones Sustainability Index 2020. Guardando all’Italia, non posso che partire da uno dei pilastri storici e fondamentali della nostra strategia CSR. Parlo di SciAbile, la scuola sci dedicata ai disabili nata nel 2003 grazie alla collaborazione tra il BMW Group Italia e la Scuola di Sci Sauze d’Oulx Project. Negli anni, fino a prima della pandemia, SciAbile ha erogato 13mila ore di lezioni gratuite a circa 1.400 allievi con disabilità.
Da oltre dieci anni abbiamo stretto una partnership con le Nazioni Unite, più precisamente con l’agenzia UNAOC (United Nations Alliance of Civilizations), un’iniziativa che cerca di «stimolare l’azione internazionale contro l’estremismo» attraverso la formazione di un dialogo e di una cooperazione internazionale, interculturale e interreligiosa. Dalla collaborazione tra BMW e UNAOC è nato l’Intercultural Innovation Award un concorso internazionale a sostegno di progetti innovativi che promuovono la comprensione interculturale, favorendo il dialogo tra i popoli.
Nel 2014 insieme all’Università Bicocca di Milano abbiamo portato oltre tremila tra studenti, operatori culturali, media e istituzioni a confrontarsi sul tema dell’Intercultura in un convegno dedicato. Sempre nel 2014 abbiamo dato vita a un’iniziativa insieme a Dynamo Camp, l’associazione che si occupa di terapia ricreativa nata su un’idea di Paul Newman, e l’ospedale San Raffaele di Milano per aiutare i giovani colpiti da malattie neurodegenerative a vivere un’esperienza inclusiva e unica a San Marcello Pistoiese, sede di Dynamo Camp. Il nome di questo progetto – SpecialMente – nel tempo è diventato così forte da diventare “il cappello” di tutte le nostre attività di Corporate Social Responsibility: attività che hanno coinvolto direttamente non solo i manager dell’azienda, ma tutti i collaboratori, i concessionari, i partner, gli amici. Voglio ricordare il lancio nel 2016 – insieme alla FISPES e poi alla FIB – del progetto della boccia paralimpica per portare per la prima volta una rappresentativa italiana ai Giochi: partendo da zero, adesso abbiamo un movimento di oltre 150 atleti e abbiamo buone speranze per Parigi 2024. Nel frattempo siamo entrati a far parte del “dream team” del Festival del Fundraising per un futuro sostenibile, che nel 2023 si svolgerà a Riccione dal 5 al 7 giugno.
Devo confessare che tutte queste esperienze ci portano sempre un grande valore dal punto di vista umano e personale. Prova tangibile è stata qualche mese fa la giornata passata con i ragazzi di “Diversamente Disabili“, l’associazione fondata da Emiliano Malagoli per aiutare i ragazzi artolesi e portatori di protesi a riavvicinarsi alle due ruote. Sul circuito Tazio Nuvolari vicino a Pavia erano presenti anche Andrea e Franco Antonello, fondatori della onlus “I bambini delle fate“, l’associazione famosa in Italia per aver sensibilizzato l’opinione pubblica sul tema dell’autismo. È proprio l’unione delle diverse disabilità, lo scambio di esperienze, di idee e di progetti ad arricchire il lavoro che facciamo tutti i giorni: più che mai dopo la pandemia, le aziende servono a questo. A esplorare terreni diversi, potenzialità, a diventare dei catalizzatori per la crescita dell’impresa stessa. In questo modo, anche grazie alle attività di formazione che svogliamo, si riesce a consolidare una visione d’impresa duratura nel tempo.
Cos’è cambiato nella percezione dei vostri stakeholder dopo due anni di pandemia?
Nel 2020, quando ci sono state le chiusure e il lockdown, non sapevamo fare previsioni su come sarebbero stati i nostri risultati, che poi si sono rivelati migliori delle aspettative. L’unico paletto che abbiamo deciso di mantenere è stato quello di non toccare gli investimenti in chiave di responsabilità sociale: ci abbiamo creduto da sempre, proprio in quella fase era necessario dare un segnale. Ci siamo accorti subito che molta gente ne aveva bisogno perché le associazioni e le onlus erano in difficoltà a mantenere i contatti con le famiglie. Disabilità e inclusione sociale sono sempre stati al centro delle nostre strategie, quello era il momento di fare la differenza. Quello che non potevamo fare in presenza, l’abbiamo sostituito con una presenza online: ad esempio con la scuola di sci, non potendo fare i corsi dal vivo, abbiamo destinato i fondi per migliorare le strutture ed essere pronti per la ripartenza. In generale la sensibilità verso chi ne aveva bisogno, durante la pandemia ha subito un’accelerazione improvvisa. Pensiamo a tutte le persone che ogni giorno ricevono un supporto da onlus, associazioni, volontari del terzo settore: anziani, disabili, famiglie in difficoltà da un giorno all’altro si sono ritrovate isolate, senza sanitari che potevano fare le visite a domicilio, senza nessuno che li aiutasse a fare la spesa o a fare due chiacchiere. Un’esperienza veramente forte…
La mobilità elettrica è una sfida che verrà superata e in che tempi? È un tema di tecnologie o c’è anche un cambio nei comportamenti?
Per essere coerenti, più che mai nel settore automobilistico, occorre che lungo la filiera tutti si comportino con la stessa mentalità. Se di sostenibilità parlano in tanti, oggi riteniamo ancora più importante impegnarci in favore della circolarità. Per fare una vera rivoluzione vanno analizzati molti aspetti: dall’energia che utilizziamo per produrre automobili, alle modalità di produzione, da come lavorano i fornitori alla mobilità vera e propria, fino al ciclo di vita dei mezzi stessi. Solo così la sostenibilità riacquista significato e non resta un messaggio superficiale, di facciata. È già da qualche anno che i nostri fornitori, per partecipare alle gare, devono avere una sorta di “patentino green” che certifichi che tutta la loro filiera ragiona in ottica circolare.
Dal punto di vista normativo, all’industria automobilistica è stato chiesto di investire con grande impegno per la riduzione della CO2: francamente non credo esista un altro settore che sia stato misurato con altrettanta efficacia… Abbiamo fatto tanto ma non è abbastanza, si può fare di più. Attenzione però a guardare la mobilità elettrica come soluzione unica: questa spinta green va gestita con intelligenza. Come BMW nel 2013 siamo stati fra i primi ad andare sul mercato con i veicoli elettrici, mentre oggi l’offerta si è ampliata nelle diverse fasce di mercato. Quello dei costi è un tema concreto, un’utilitaria elettrica può arrivare a costare il doppio di una tradizionale. E questo ha un impatto sulla sensibilità dei clienti. Poi c’è il discorso dell’acquisto: le persone devono continuare ad aver voglia di comprare le automobili sostenibili, ma le infrastrutture e le condizioni generali devono supportare il cambiamento di paradigma.
E poi vanno considerate le normative, molto stringenti quelle fissate dall’Unione Europea per il 2035: ma per arrivare ad avere entro quella data solo veicoli elettrici, da alcune stime emerge che dovremmo arrivare a installare in tutta Europa sette milioni di colonnine di ricarica. Una cifra enorme. Solo se le istituzioni affronteranno tutti questi temi con grande urgenza, forse riusciremo a creare un sistema che risponde alle promesse fatte ai consumatori e un mercato più agevole per tutti. Non si può arrivare al 2035 e scoprire che non si sono create le condizioni per passare a una mobilità totalmente elettrica: sarebbe un effetto boomerang pazzesco! E le prime a entrare in difficoltà sarebbero le aziende europee, considerando che le concorrenti americane e asiatiche continueranno a produrre e vendere auto a combustibili fossili. Per ultimo c’è il tema, ancora più critico, della produzione di elettricità: se domattina tutto il parco auto nazionale passasse all’elettrico, il nostro Paese non sarebbe certo in grado – al netto dell’aumento dei costi energetici – di reggere un impatto del genere.
In sintesi, è ovvio che la direzione verso le energie rinnovabili sia quella giusta, compreso il nostro progetto di implementare nel 2023 una flotta a idrogeno insieme a Toyota. E lo dico a nome di una casa automobilistica che già nel lontano 1973 aveva aperto, nel quartier generale BMW di Monaco di Baviera, un ufficio di “protezione ambientale” quando la questione “ecologista” era ancora del tutto sconosciuta all’opinione pubblica. Ai Giochi Olimpici del 1972, proprio a Monaco, BMW si presentò alla sfilata di apertura con un parco auto che includeva due veicoli di prova alimentati elettricamente. Ripeto però che industria, ricerca e istituzioni devono lavorare nella stessa direzione. Noi ci stiamo mettendo grande coerenza e attenzione sul tema, le istituzioni da parte loro devo rendere le tempistiche realistiche e fattibili, sia per le aziende che per i consumatori. I Paesi che hanno fatto un lavoro in forte sinergia, hanno ottenuto buoni risultati: guardiamo alla Norvegia che, sebbene sia un territorio piccolo e con grandi disponibilità di fonti green, è arrivato a una mobilità elettrica del 96%.
Cosa direbbe a un giovane manager che si affaccia nel mondo delle imprese? In uno scenario di transizione energetica, quali competenze dovrebbe maturare in chiave di responsabilità sociale e attenzione alla sostenibilità?
Oggi i giovani hanno cambiato i requisiti per cui scelgono di impegnarsi con un’azienda: una volta era la carriera e il guadagno, oggi come dicevo prima i neolaureati (e in generale le giovani generazioni) guardano di più ai valori che vengono condivisi dal management, sono attenti allo smart working, alla flessibilità dell’orario, ai servizi presenti nel luogo di lavoro. Il bello di questo mestiere è ricevere molto anche dai più giovani, mettersi in ascolto, sintonizzarsi sulle esigenze di persone che portano idee e confronto, creatività ed entusiasmo. Questo è il mio consiglio, che ripeto spesso ai team dove ci sono molti junior: non perdete la voglia di restare aperti, curiosi, disponibili al confronto. Le aziende sono luoghi dove si può imparare molto, dove si vivono esperienze con persone di età e culture e mentalità diverse. Dove si investe del tempo per crescere, condividere e restituire.
Ora che si è tornati a lavorare negli uffici, abbiamo in programma numerosi eventi per coinvolgere e dare spazio a tutti coloro che vogliono prendersi delle responsabilità e lasciare un segno. Sono ottimista: è stata una fase molto dura, ma a tratti ci ha fatto intravedere che un mondo migliore è possibile. Anche grazie ai più giovani, anche grazie a una rivoluzione verde che cambi il nostro modo di vivere e di immaginare il futuro.
Nel settembre 2022, in occasione della mostra «The Game», Alessandro Baricco ha tenuto una lectio magistralis presso il museo della Tecnica Elettrica dell’Università di Pavia. Ecco la registrazione.