Intervista a Fabio Siniscalchi, fondatore e presidente di Oceanus, l’organizzazione no profit per la tutela dell’ecosistema marino, la ricerca scientifica e la sensibilizzazione ambientale: «Durante il lockdown, il Pianeta ha ripreso quegli spazi che l’uomo gli aveva sottratto».
Oceanus nasce da un’idea di Fabio Siniscalchi, fondatore e presidente dell’organizzazione no profit. Come si evince dal nome, Oceanus è nata per mare durante una spedizione. Ad oggi le sue attività vanno dalla salvaguardia dell’ecosistema marino alle campagne di sensibilizzazione, dal rispetto dell’ambiente all’invio di aiuti umanitari, fino ai progetti di ricerca per lasciare alle generazioni future un pianeta migliore.
Come nasce l’idea di creare Oceanus e quale ruolo ricopre al suo interno?
L’idea, quasi la necessità, di creare un gruppo di ricerca è nata in barca, Oceanus non poteva che nascere per mare durante una spedizione, nel 2004, a bordo di un catamarano a vela di 43 piedi con l’obiettivo di censire la distribuzione e l’abbondanza di cetacei lungo la rotta mediterranea e atlantica: Atene, Grecia – Isla do Sal, Capo Verde. Oceanus nasce lungo queste rotte. Pianificare l’organizzazione e i progetti ci ha fatto compagnia soprattutto nelle notti al timone. Strategie, equipaggio, università da coinvolgere, strumenti nuovi da realizzare, era tutto pronto ancora prima di arrivare ad Atene. Ho fondato Oceanus nel 2005: oggi è un network internazionale di gente di mare, biologi, skipper, subacquei che mettono a disposizione le proprie competenze in progetti e campagne di innovazione e ricerca ambientale.
Il vostro motto è «Piccole azioni, se moltiplicate per milioni, possono cambiare il mondo!»
È in atto un cambiamento epocale, percepito in maniera diversa nei vari Paesi del mondo. Stiamo assistendo, anzi siamo parte, di una fase evolutiva del genere umano sulla Terra, chiamata a riprogettare l’intero modo di vivere, spostarsi, nutrirsi e immaginare il futuro dei nostri figli e nipoti. Forse è questa la presa di coscienza, la responsabilità più importante: diventare una generazione che lavorerà a soluzioni nuove, piccole o grandi azioni, i cui benefici non è detto riuscirà a goderne. Ma se moltiplicate per milioni, possono davvero cambiare le sorti dell’uomo sulla Terra.
Quanto è importante attuare una campagna di sensibilizzazione efficace per fare in modo che i cittadini siano più responsabili verso il Pianeta?
È necessario promuovere e assecondare nuove visioni e capacità in grado di rinaturalizzare l’ambiente, renderlo armonico con le attività antropiche ridisegnando quartieri e verde urbano, creando ciclovie, proponendo nuovi modelli culturali non più del possesso, ma della condivisione degli oggetti, del tempo, del sapere; tutto questo non può che giovare all’economia, rigenerarla. Esempi? Utilizzare di meno l’automobile, o non averla del tutto, così come immaginare città in cui potersi spostare solo con veicoli condivisi, è un’idea, uno stile di vita. Il rischio – non piacendo a una parte del mercato – è di non vedere premiate le idee migliori e risolutive per tutti, ma solo le più vantaggiose per alcuni.
Per quanto io mi occupi di temi ambientali dai primi anni 2000, con Oceanus lavoriamo su tre diverse campagne di sensibilizzazione: “Una Ricetta per salvare il Mare”, “Pedalando verso il Futuro” e “No More Plastic Bags”. Credo sia il Pianeta stesso a “parlarci” e presentare il conto delle nostre azioni… Forse la campagna più forte a cui tutti noi abbiamo assistito è avvenuta all’inizio del lockdown: sono bastate poche settimane al nostro Mare per mostrarsi in tutta la sua semplice magnificenza. Fermare all’improvviso, sospendere l’operosità degli esseri umani ci ha costretti al ruolo di testimoni del Creato che pian piano ha provato a riconquistare gli spazi sottratti, rivelandosi quasi come una presenza fisica a cui abbiamo concesso un lungo respiro. Se c’è qualcosa da salvare in questa terribile pandemia è una nuova consapevolezza che deve accelerare processi innovativi e modelli ecosostenibili di vita sul Pianeta.
Oceanus è impegnata anche in ambito umanitario. Quali sono le principali attività di volontariato che svolgete?
I tanti progetti di innovazione, salvaguardia e ricerca in mare non ci hanno mai fatto voltare le spalle a terra: anzi il mare è un punto di osservazione privilegiato per comprendere molte dinamiche umane sulla terraferma. Spesso nella narrazione dei primi flussi di immigrazione si è omesso di analizzare il filo sottile che unisce la pesca e l’emigrazione; è un rapporto di causa-effetto che innesca flussi di migranti a utilizzare quelle stesse barche da pesca, inutili per lavorare, come un mezzo di trasporto per fuggire dalla miseria. Da queste consapevolezze nascono progetti di rigenerazione degli habitat marini con un incremento della biodiversità: come la campagna “una ricetta per salvare il mare” che accompagna il consumatore alla scoperta della stagionalità del pescato, in modo da incentivare il consumo di pesce locale e promuovere i punti di prima vendita sul territorio, gestiti direttamente dai pescatori.
Parliamo di azioni concrete, missioni umanitarie che derivano da quel senso di vulnerabilità e sacrificio che il mare ci insegna quando diventiamo “angeli della salvezza” per uno sventurato da soccorrere. Spinti da un forte spirito di solidarietà marinaresca e fratellanza tra popoli, abbiamo portato aiuti umanitari, in collaborazione con gli enti locali, a Capo Verde, partecipando attivamente alla ristrutturazione e ripristino dell’ospedale “Delegacia de Saude” isola di Santo Antao. In Grecia, durante la crisi dei migranti, eravamo al campo profughi di Idomeni, al confine con la Macedonia del Nord, per poi spostarci nelle acque di Chios, isola degli sbarchi. Abbiamo anche inviato farmaci agli ospedali di Aleppo in Siria, aiuti in Turchia, Marocco, Kenya, Gaza e Italia.
Quali sono i progetti di Oceanus per il futuro?
In questo momento stiamo completando un progetto di rinaturalizzazione ambientale in Sardegna, beneficiario di fondi europei. Lavoriamo per rigenerare l’habitat e ripopolare un polmone blu: una sorta di effetto nursery che assicura riparo e protezione tanto alla deposizione delle uova, quanto ai primi stadi giovanili di pesci e cefalopodi. Questo sistema che ricrea dei reef-artificiali è capace inoltre di ridurre la forza cinetica dell’onda, e dunque la sua azione erosiva sulla spiaggia. Anche per monitorare questo progetto, a breve, è previsto il varo di un nuovo catamarano a vela di 45 piedi, ideato e costruito da Oceanus, un floating-lab. Volvo Penta e Selden Mast hanno creduto sin da subito al progetto. La barca è interamente dedicata alle attività di Oceanus e accoglierà vecchi e nuovi volontari e sostenitori da tutto il mondo.