Intervista a Stefano Galloni, direttore generale di una Fondazione che supporta centinaia di bambini e persone con disabilità, attraverso una serie di servizi educativi e di assistenza specialistica.
Fondazione Roma Litorale è impegnata a raggiungere gli obiettivi sociali a beneficio della comunità: inclusione, salute e cura, disabilità, malattie rare, degenerative ed oncologiche, tutela delle persone anziane. Stiamo vivendo un periodo storico complicato nel quale diventa necessario un impegno per aiutare le persone più deboli che rischiano di restare emarginate dalla società. Fondazione Roma Litorale contribuisce con il suo costante lavoro quotidiano a migliorare la situazione sociale delle persone più bisognose. Non mancano quelle scelte strategiche con altre associazioni, in grado di aumentare sostanzialmente l’assistenza e i servizi alle persone. Qualche esempio? La Fondazione Roma Litorale promuove sinergie con scuole di ogni ordine e grado, Confassociazioni la rete delle reti, partner Istituzionali, brand internazionali, artisti di fama nazionale, senza tralasciare le migliaia di persone che hanno contribuito a creare un polo di inclusione sullo splendido litorale di Roma. Con Stefano Galloni, direttore generale della Fondazione, entriamo nella realtà per conoscere le diverse iniziative realizzate a beneficio delle persone più bisognose.
Perché nasce Fondazione Roma Litorale?
«La Fondazione Inclusione Salute e Cura Roma Litorale – racconta Galloni – nasce il 29 ottobre 2020 a seguito dell’adeguamento alla Riforma del Terzo Settore, muovendosi sull’oltre quarantennale esperienza maturata sul territorio come AnffasOstia Onlus e lasciando inalterato lo spirito che l’ha contraddistinta dalla nascita per mano di un comitato di genitori guidato dalla Fondatrice Ilde Plateroti. La motivazione è dirimente rispetto al passato: la necessità di ampliare il raggio di azione. Non soltanto disabilità ma anche malattie rare, degenerative ed oncologiche e la tutela delle persone anziane. Sguardo rivolto al futuro e attività oltre i confini nazionali, come avvenuto nel supporto al Consorzio Orafo di Valenza per una best practice europea che vedrà le prime persone con disabilità lavorare a banco orafo. Le persone rimangono il perno dell’azione dell’ente, come la rete costruita in 15 anni con scuole, università, Istituzioni, mondo del lavoro, altri enti laici e non, brand e artisti internazionali e Confassociazioni, che hanno concorso a creare un polo di inclusione nella Capitale di valore e distinguibile. Il CDA è eletto tra fondatori, dipendenti e APS La Nostra, confermando la gratuità delle cariche e una squadra di oltre 150 persone di valore assoluto a livello a umano e professionale».
Nella Fondazione lei ricopre il ruolo di Direttore Generale: come si è appassionato al Terzo settore?
Probabilmente era destino, in realtà due episodi di circa 20 anni fa probabilmente hanno segnato quello che sarebbe stato il mio futuro in questo settore, periodo nel quale ero presidente della consulta delle politiche giovanili del Municipio Roma 13 poi divenuto 10. Il primo fu il prendere le parti del collega e caro amico presidente della consulta della disabilità, che mi aveva invitato ad una delle sedute, esso stesso con una importante disabilità motoria, sostanzialmente aggredito verbalmente da una serie di presidenti di circoli e cooperative, che in quel modo cercavano di indirizzarne l’operato su uno specifico progetto in delibera. Si badi bene che in quel periodo i presidenti di consulta erano delegati diretti del presidente di municipio e quindi a tutti gli effetti rappresentanti istituzionali, motivo per il quale non fu difficile trovare il modo per far calmare gli animi. Il secondo fu il prendere le parti di una donna battagliera che durante un’altra consulta della disabilità del municipio Roma 13 oggi 10, era impegnata a difendere ad ogni costo degli stanziamenti che si volevano devolvere anziché ad attività protette per persone con disabilità grave a una scuola di stuntman, da parte di una serie di soggetti che avevano assunto atteggiamenti verbali violenti perché la Signora non voleva desistere. Anche se a dirla tutta la signora impaurita non era, ma da quel gesto probabilmente si creò un feeling, non sapendo peraltro che fosse una delle figure storiche della disabilità intellettiva a Roma e in Italia. A distanza di tre anni da quell’evento, quella stessa persona, che era Ilde Plateroti, colei che con un gruppo di genitori e il supporto del Sindaco Petroselli aveva sostanzialmente portato attraverso associazioni di genitori e una coop, le prime politiche e i primi servizi per persone con disabilità sul litorale ad inizio anni ‘80, decise di propormi il ruolo di direttore generale di una importante associazione da lei fondata che era prossima alla chiusura. Oggi grazie una grande squadra, quell’ente è divenuto uno dei riferimenti del Terzo Settore a Roma e non solo, vale a dire la Fondazione ISC Roma Litorale.
Quali sono i progetti e le iniziative principali della onlus?
Siamo un ente accreditato con il Servizio Sanitario Regionale, diamo supporto a centinaia di bambini e persone con disabilità, attraverso i nostri servizi di riabilitazione territoriale, soprattutto per l’età evolutiva. A fianco all’attività riabilitativa siamo presenti nelle case delle famiglie con il servizio di assistenza domiciliare SAISH, nonché nelle scuole di secondo grado, andando a costruire di fatto il progetto di vita delle persone che seguiamo sin dalla tenera età, supportandoli nel loro diritto di scelta e non solo. Oltre a questo ci occupiamo dei diritti di tutte le persone con fragilità. Da qui la nascita dell’agenzia lavoro per le persone con disabilità intellettiva che si occupa di formare e inserire lavorativamente ragazzi con disabilità intellettiva e fragilità. Il progetto ‘SportLife’ si occupa invece di incentivare lo sport nelle persone con fragilità e, attraverso il nostro dipartimento di psicoterapia, svolgere funzioni di coaching dedicate a ragazzi che attraversano un particolare momento nella loro carriera sportiva o che vogliono un supporto per migliorare le loro performance. Ci occupiamo da qualche mese, operativamente e non soltanto politicamente del ‘Dopo di Noi’ e ‘Durante’, dando ai ragazzi l’opportunità di acquisire competenze che permettano loro di poter uscire dal guscio familiare e poter iniziare a vivere, naturalmente con un’assistenza h24, esperienze extra genitoriali.
Il ruolo del digitale nella raccolta delle donazioni alla Fondazione?
È un ruolo indiretto e strumentale, per indirizzo interno evitiamo di utilizzare gli strumenti multimediali come leva di marketing, dal momento che nel terzo settore la raccolta fondi e le sue regole sono ben chiare. Ad oggi infatti lo sviluppo del sito Internet, di social media e della rivista interna, ha consentito di allargare la platea dei destinatari della promozione dei diritti, che spesso sono essi stessi parte attiva della produzione dei contenuti e di promozione delle attività svolte a favore delle principali fragilità che seguiamo. Anche a scuola, nelle università e nelle aziende. Grazie agli strumenti digitali è stato possibile farsi conoscere da realtà internazionali quali Unilever oppure player del sistema commerciale italiano ed europeo come il gruppo Upim, che ci hanno reso destinatari di importanti interventi di natura benefica durante il periodo della mia direzione dell’ente e ancor di più dai tanti piccoli enti o semplici cittadini che hanno deciso di supportarci, come i soci di Gente dell’Ati, senza i quali nei periodi più bui non avremmo neanche potuto comprare un computer. Oggi ci seguono da tutta Italia proprio grazie agli strumenti digitali.
Quali sono le esigenze principali della società in questo momento storico?
Come dirigente di Terzo settore è possibile dare una risposta focalizzata sulle esigenze dei rapporti del sistema welfare con la società civile, che a mio avviso è sovrapponibile a quella personale, come uomo e genitore. Alla base di tutto c’è una carenza di voglia di conoscere, studiare, esplorare e di innovare, mettendo in campo anche la propria fantasia e coraggio personale, soprattutto su quello che non si conosce, non comprendendo che qualsiasi svolta è possibile anche per chi ha avuto un andamento scolastico incerto nella vita. I giochi si fanno spesso fuori dalle aule, nei campi sportivi, nelle sale musicali e attraverso le esperienze personali fuori da setting protetti e preparati, lì si possono imparare regole che le famiglie non trovano più il tempo di dare. Fare sport, frequentare una scuola di musica o di arte, condividere il tutto con gli altri, segna una differenza sostanziale, nella stragrande maggioranza dei casi, tra ragazzi che possono arrivare e altri annoiati dalla società. Le famiglie devono incidere in questo. Abbiamo bisogno di recuperare voglia di competere, allo stesso tempo è dovere dei più adulti avviare una battaglia senza tregua contro quanti assumono ruoli di potere o anche soltanto di gestione amministrativa, senza averne competenze e merito ma soltanto grazie ad un sistema clientelare, premiando invece chi comunque prova a mettersi in gioco.
Cosa pensa della trasparenza nelle Onlus?
Sovrapponendo cronaca, letteratura di settore ed esperienze personali sembrerebbe esserci una sostanziale differenza tra il sistema Terzo Settore della riforma del 2017, con l’invenzione del RUNTS, rigido, con doveri di pubblicità legale anche sul web e quello dal decreto legislativo 460/97 con la nascita delle Onlus, aggrovigliato tra Onlus di diritto e di fatto senza doveri di iscrizione alcuna in Camera di Commercio e non soggette ad Iva per le prestazioni principali, sistema cooperativo divenuto in parte Onlus per ragioni diverse, obbligato a mantenere rapporti con le CCIAA e con possibilità e/o doveri di applicare l’Iva. In realtà è possibile trovare virtuosi esempi in ambo i campi, di certo ieri come oggi occorrono regole più semplici che favoriscano la trasparenza, di fatto la trasparenza non ha regnato in modo uniforme per 25 anni. Vediamo intanto cosa ne pensa l’Unione Europea della Riforma, dal momento che pende ancora un giudizio di legittimità.
Non basta ideare il registro unico nazionale del Terzo Settore se poi la burocrazia riesce a rendere talmente difficile e complesso il processo di iscrizione, anche per i notai e i manager esperti, che dopo cinque anni dalla pubblicazione della legge il sistema permane ancora immobile.
È per questo motivo che un’analisi sulla trasparenza delle organizzazioni non lucrativa di utilità sociale è difficile. Come Confassociazioni Terzo Settore e fondazioni ITS, di cui la Fondazione ISC Roma Litorale è parte, ci siamo sforzati di provvedere autonomamente alla condivisione di regole semplici e chiare, che garantiscono la verifica sostanziale dei requisiti di onorabilità, inclusività e trasparenza degli enti che afferiscono alla confederazione. In gioco c’è una doverosa credibilità da avere nei confronti del mondo fuori dal Terzo Settore, che la riforma autorizza rispetto al passato a sostanziali attività economiche di donazione, con ricadute delicate sulla tassazione dei redditi delle stesse, che potrebbe portare a situazioni distorsive pericolose.
Perché è importante la Responsabilità Sociale delle Imprese?
È un principio determinante per il Terzo Settore che ha un impatto sociale diretto sulle persone e i luoghi in cui vivono. I sistemi di certificazione internazionale darebbero un grande vantaggio competitivo come, ad esempio, la certificazione SA8000 che l’ente da me diretto ha avuto, primo tra tutti, per oltre 5 anni, senza mai avere un minimo riscontro in ambito di facilitazioni su accreditamenti, bandi, autorizzazioni, il consueto sistema atavico di arretratezza culturale, sperando sia soltanto questo il motivo che spegne gli investimenti degli enti virtuosi e livella in basso quando conviene. Sotto diversi punti di vista, data la generalità dell’argomento, è importante perché pone un freno all’utilizzo non virtuoso di organizzazioni pseudo-aziendali come scappatoia per mascherare attività puramente lucrative, coinvolgendo più soggetti nella gestione e sorveglianza di organismi che esistono in funzione di attività di interesse generale, che lo Stato in via autonoma non riesce a soddisfare.
I ragazzi come si sentono coinvolti dagli operatori della Fondazione?
I ragazzi sono centrali nella nostra mission. Basti pensare che al posto delle solite macchinette da caffè abbiamo aperto un bar interno nel quale lavorano, con regolare contratto, ragazzi con disabilità che seguiamo da quando sono piccolissimi e che abbiamo debitamente formato.
Come collaborano gli Enti e le Istituzioni alla finalità sociale della Fondazione?
Abbiamo importanti e strutturati rapporti con tutti gli enti istituzionali. Per conto della Regione abbiamo per esempio curato una campagna divulgativa sull’Endometriosi, una patologia ginecologica di cui si parla molto poco. Con Confassociazioni abbiamo organizzato diverse tavole rotonde sulle problematiche della disabilità alle quali hanno sempre partecipato rappresentanti di tutti gli enti istituzionali.
Le emergenze sociali sono spesso gestite dal terzo settore. Perché?
Perché attualmente lo Stato centrale, gli enti locali e quelli di prossimità, per esternalità negative frutto di oltre 40 anni di gestioni non virtuose e che hanno affossato ogni modifica normativa intesa come innovazione, non sono in grado di dare piena o parziale risposta diretta alle varie domande di servizi e presa in carico di bisogni primari della cittadinanza. Il Terzo Settore, almeno nella ratio della riforma voluta dal Legislatore con il decreto legislativo 117/2017, è stato riorganizzato per assolvere in modo ordinato a tale necessità. Con regole forti e dirimenti, fondamentali nei campi della salute, del sociale, della formazione, della cultura, dell’ambiente, dei diritti civili. Burocrazie permettendo che sta rallentando anche i processi di iscrizione al registro unico nazionale.
Crede sia possibile studiare un quadro organico istituzionale di intervento da dedicare alle differenti esigenze sociali?
Sarebbe oltremodo superbo dire che è semplice, ma probabilmente sarebbe possibile razionalizzare la materia coinvolgendo manager di Terzo Settore nella costruzione del sistema. A mio avviso il sistema andrebbe rivisitato partendo dal divieto di concentrazioni, abusi di posizioni dominanti e arrivando ad un CCNL unico che accorpi i vari contratti, che oggi spaziano dalla sanità privata, al sistema cooperativo, a delle vie di mezzo passando per una miriade di ibridi con altri settori. Superata una certa soglia di fatturato, gli organismi dovrebbero seguire le regole delle società di capitale, al fine di limitare la costituzione di molte cooperative ed enti di Terzo Settore per eludere regole sulla concorrenza e di contribuzione al fisco. Questo, a mio avviso, è il principale modo per rispettare la ratio della norma e garantire pluralismo, non ingerenze della criminalità e migliori standard di qualità. Coinvolgere professionisti esterni è possibile, in modo trasparente, aprendo un albo ed estraendo a sorte, dando forza ad esperienza e non alle merite risultanze accademiche.
Per definire un quadro organico, non penso basterà coinvolgere nuovamente grandi associazioni, come avvenuto all’alba della riforma e che probabilmente non è stato sufficiente, visto il fermo dopo 5 anni di emanazione della legge e i rischi che una infinità di piccoli enti e reti con meno di 100 unità sul territorio nazionale, spariscano assorbite da grandi network. Quadro organico che non può più prescindere dalla definizione dei confini tra Terzo Settore e sport dilettantistico. Molto stanno facendo grandi aggregati dello sport in ambito nazionale, ma manche il dialogo con il Terzo Settore per concordare strade univoche che non consentano il proseguire di dubbi ed incertezze per quanti vogliono avviare un percorso in questo campo.