«Chi sono i bambini farfalla?». L’epidermolisi bollosa è una malattia genetica rara di cui ancora si parla troppo poco. Cinzia Pilo ci parla del suo libro sulla Personal social responsibility e su come far combaciare la vita professionale con l’impegno nel terzo settore.
Pianificatrice strategica, leader, attiva negli enti no profit, Cinzia Pilo ha oltre 20 anni di esperienza in aziende leader a livello mondiale. È stata inserita nella lista #unstoppablewomen di Startup Italia, dove sono presenti 150 donne che stanno cambiando l’Italia attraverso l’innovazione.
Nel corso della sua brillante carriera ha sempre lasciato spazio per l’impegno nel terzo settore: da 12 anni si occupa di progetti sociali, è presidentessa di due enti senza scopo di lucro (Debra e Fondazione REB Onlus), entrambe attive nella ricerca scientifica per combattere l’epidermolisi bollosa (EB), una malattia rara della pelle dei bambini, che la rende fragile come le ali di una farfalla, da qui il termine “bambini farfalla”.
Anche grazie alla sua esperienza diretta, Cinzia Pilo crede fortemente nella responsabilità sociale che, secondo lei, dev’essere personale e non solo d’impresa. A tale proposito ha scritto un libro: Personal social responsibility nel quale spiega come far combaciare la vita professionale con l’impegno nel terzo settore.
Come nasce questo libro?
Essendo madre di due figli, di cui uno disabile, ho voluto raccontare la mia esperienza, specialmente per rispondere ad una domanda che mi viene spesso posta “come fai a trovare il tempo?”. Con questo libro cerco di fornire un manuale d’uso a chi volesse impegnarsi in questo ambito dal punto di vista di professionalità di alto livello.
Avendo avuto l’occasione di intervistare diverse persone che potessero portare la loro testimonianza, secondo la tua esperienza, cosa accomuna i manager che vogliono fare del bene?
Il motore principale è spesso un accadimento personale, altre volte vengono coinvolti da qualcuno di animato da questo spirito sociale e vengano contattati per fare delle attività. Nella mia esperienza, nonostante una possibile titubanza iniziale, nessuno si è mai pentito di aver intrapreso questo percorso, perché la reale domanda non è “dove troverò il tempo” ma “perché lo voglio fare”, è la motivazione che anima queste attività ed è la ragione per la quale nessuno di coloro che si dedica a queste opere se ne pente. Ognuno di noi ha una causa in cui credere, tutti sanno qual è lo scopo per il quale vogliono impegnarsi, questo libro serve a dire, se tu hai questo scopo fallo perché è fattibile.
Esiste un punto d’incontro tra il terzo settore e quello volto al profitto?
Il profitto serve per portare avanti le iniziative filantropiche, io gestisco due Onlus e uno dei primi temi è proprio la raccolta fondi. Il punto d’incontro c’è, un esempio concreto è quello di TrustMeUp dove, per la prima volta, le donazioni vengono richieste alle aziende.
Credo che i temi dell’ESG siano qualcosa da cui non si può più tornare indietro, abbiamo iniziato con la sostenibilità ambientale ma questi temi invaderanno le nostre vite e di conseguenza le aziende si stanno muovendo e dovranno dotarsi di attività che abbiano un impatto sociale di qualsiasi genere. I tempi sono maturi per un incontro tra queste due realtà.