Cinzia Pilo, la manager che ha scelto la responsabilità sociale come missione di vita

di Lodovico Poschi Meuron
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È autrice di un libro sulla Personal social responsibility e su come far combaciare la vita professionale con l’impegno nel terzo settore: «Mi rivolgo a dirigenti, manager, professionisti che vogliono rendersi utili alla società realizzando quello che sentono come il loro scopo». In questa intervista Cinzia Pilo ci racconta il suo impegno per sostenere l’Epidermolisi Bollosa (EB), una malattia rara caratterizzata da fragilità della pelle e delle mucose che porta alla formazione di lesioni bollose a seguito del minimo sfregamento o pressione.

Nel corso della sua carriera, ha sempre lasciato spazio per l’impegno nel terzo settore. Da 12 anni Cinzia Pilo si occupa di progetti sociali, è presidentessa di due enti senza scopo di lucro (Debra e Fondazione REB Onlus), entrambe attive nella ricerca scientifica per combattere l’epidermolisi bollosa (EB), una malattia rara della pelle dei bambini, che la rende fragile come le ali di una farfalla, da qui il termine “bambini farfalla”.

Anche grazie alla sua esperienza diretta, Cinzia Pilo crede fortemente nella responsabilità sociale che, secondo lei, dev’essere personale e non solo d’impresa. Pianificatrice strategica, leader, attiva negli enti no profit, Cinzia Pilo ha oltre 20 anni di esperienza in aziende leader a livello mondiale. È stata inserita nella lista #unstoppablewomen di Startup Italia, dove sono presenti 150 donne che stanno cambiando l’Italia attraverso l’innovazione. Con il libro ricavato dalla sua esperienza, Cinzia Pilo ha elaborato un metodo per dirigenti, manager, professionisti che vogliono rendersi utili alla società, realizzando quello che sentono come il loro scopo, ma non sanno da dove cominciare.

Tutto parte da un’esperienza familiare

Nel nostro Paese i bambini farfalla – così chiamati a causa della fragilità della loro pelle – sono circa un migliaio, con un’aspettativa di vita che nei casi più gravi non arrivano a 5 anni. Cinzia Pilo è una mamma che ha vissuto da vicino questa esperienza. Luca, il secondo figlio, è nato nel 2010 con questa patologia.

«È stata un’esperienza devastante – racconta – che ha cambiato la mia vita. Ho sofferto tantissimo, ma ho deciso di reagire e di passare all’azione, non solo per mio figlio ma per tutti i bambini che hanno questa malattia. Una malattia di cui si sa poco, per la quale non esistono cure efficaci e che invece ha bisogno di tanta ricerca per ottenere qualche risultato».

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Cinzia inizia così un percorso difficile ma di grande spessore. Alterna la sua esperienza di manager internazionale in ambito finanziario e dei pagamenti digitali, a quella al servizio volontario in ambito sociale, della ricerca scientifica e dell’assistenza ai malati e alle loro famiglie. Dal 2015 è presidente di Debra Italia Onlus e ha ricoperto anche la carica di presidente globale di Debra International.

«Quella in Debra International è stata una bella esperienza oltreché una grande soddisfazione per le attività avviate. Ma volevo essere più sul campo, dedicarmi alla situazione del mio Paese e perciò ho deciso di focalizzarmi solo su Debra Italia. Successivamente, nel 2017, è nata l’idea della Fondazione REB, grazie alla volontà di Debra Italia e delle famiglie colpite da questa malattia più consapevoli e impegnate. Mi sono così attivata per raccogliere un fondo dedicato di 100mila euro che ci ha permesso di partire. Oggi ci finanziamo con il 5 per mille, donazioni pubbliche e private e bandi su progetti specifici con i quali riusciamo a raccogliere ulteriori risorse».

C’è un progetto in corso finalizzato a raccogliere fondi?

«Ho la fortuna di avere un vastissimo network di persone fantastiche, che ci aiuta tantissimo. Qualche settimana fa un mio amico cantautore, Francesco Maria Gallo, ha scritto una canzone per Natale i cui diritti saranno interamente devoluti alla Fondazione. Il testo mi ha profondamente colpito perché racconta di bambini che non dormono a causa del dolore, la stessa cosa che colpisce chi soffre di EB. Ho voluto condividere il progetto con gli amici della “Fondazione L’Albero della vita” e abbiamo avviato una raccolta fondi su Eppela».

La Fondazione ha creato il registro italiano per persone affette da Epidermolisi Bollosa. Ci spiega di cosa si tratta?

«Essere entrata in contatto con questa malattia mi ha fatto capire che, come per tutte le malattie genetiche rare, ciò che manca è la casistica e di conseguenza i dati. Per questo è utile avere un registro, per avere dati e informazioni il più complete possibili sulla malattia. Il nostro Registro è uno strumento molto sofisticato. Si tratta di un vero e proprio portale web che consente di registrare informazioni e dati importantissimi per capire meglio la malattia, con la possibilità di poterli scambiare tra i ricercatori a livello mondiale, a seguito dell’ottenimento degli opportuni consensi informati dai pazienti. L’obiettivo di questo registro è rimuovere ostacoli a livello scientifico e accelerare la ricerca, portando terapie innovative in Italia».

Logo REB ETS

Un altro aspetto su cui cui la Fondazione è fortemente impegnata è la qualità della vita…

«Assolutamente sì, l’impatto che questa patologia così invalidante ha sui bambini è un altro aspetto della nostra analisi. I bambini con questa malattia hanno una vita sociale molto ristretta: non possono correre, non possono fare nessuno sport e hanno difficoltà a mangiare e a vestirsi. Tutto ciò che per noi è normale, per loro diventa un’impresa molto difficile. Poi c’è l’impatto psicologico sulla famiglia che deve immediatamente capire la dimensione della malattia – a pochi mesi dalla nascita di questi bambini – rendendosi conto di avere a che fare con una malattia sconosciuta di cui non avevano mai sentito parlare. Vi assicuro che il percorso che si è costretti a intraprendere è difficile e doloroso».

La Fondazione è oggi un punto di riferimento, anche a livello internazionale.

«È una grande opportunità a disposizione della ricerca. In questi anni abbiamo acquisito molta più consapevolezza e competenza. Comprendiamo meglio gli impatti della condizione sui bambini e le loro famiglie, sappiamo di cosa hanno bisogno – dal sostegno sociale a quello psicologico, fino al supporto di ogni genere. Certo, offrire soluzioni non è sempre facile, anche perché spesso le stesse famiglie dei malati sono poco formate e consapevoli. Noi siamo, ad esempio, gli unici enti che si occupano di EB che in Italia intervengono con le istituzioni per assicurare tutti i diritti di cui le famiglie hanno bisogno (dai piani terapeutici alle vaccinazioni, o ad esempio per ottenere le esenzioni sui farmaci di cui beneficiano). Di queste attività però spesso tra le famiglie c’è poca consapevolezza. Ci tengo anche a dire che noi agiamo nel massimo rispetto della dignità delle persone, perciò non utilizziamo il pietismo esasperato esponendo foto spregiudicate e degradanti o addirittura dei bambini farfalla morti della malattia solo per raccogliere fondi per obiettivi inutili o poco trasparenti. Per questi motivi noi agiamo solo su presupposti informati e casi scientifici verificati e trasparenti. Misurare la qualità della vita è importante, anche dal punto di vista medico, per esempio per l’introduzione di nuovi farmaci. Abbiamo acquisito grande credibilità: grazie alle analisi che facciamo, siamo in grado di collaborare con scienziati a livello internazionale, capire gli esiti più promettenti e reali della ricerca e dettare strategie che hanno al centro i malati, fornendo un aiuto concreto».

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Cinzia, lei da qualche mese ha fatto una scelta di vita di grande importanza. Ce la racconta?

«Nel giugno scorso ho deciso di fare il grande passo. Fino a quel momento avevo gestito due attività in parallelo fino a che una delle due ha prevalso sull’altra. Ho deciso di dedicare le mie competenze e il mio tempo solo a progetti, organizzazioni e persone che nel loro operato tengano conto dell’impatto che hanno sulle persone e sul mondo. E sa perché? Perché mi rende molto più felice e dà un senso alla mia vita».

Da questa toccante esperienza di vita è nato anche un libro?

«Ho pensato inizialmente di scrivere una sorta di diario privato, quasi a livello terapeutico durante il periodo di lockdown. Poi qualcuno mi ha spinto a condividere con gli altri la mia storia. Ne è venuto fuori un libro, un saggio, che propone un metodo per dirigenti, manager e professionisti che vogliono rendersi utili alla società realizzando quello che sentono come il loro scopo, ma non sanno da dove cominciare. La mia esperienza può essere d’aiuto a capire che, oltre alla CSR (Corporate Social Responsibility), deve esserci anche la Personal Social Responsibility, cioè l’impegno sociale che i singoli con alte competenze possono esprimere per generare impatto positivo sulle persone e sull’ambiente. Il dubbio che tutti noi abbiamo è: dove trovo il tempo? Ecco, con questo lavoro spero di spronare tanti manager a mettere al servizio di modelli etici le proprie competenze. Perché le persone capaci, alla guida di iniziative utili alla società, possono davvero contribuire a rendere il mondo più vivibile, equo e giusto, per tutti».

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