Misurare la CSR delle imprese per orientarle verso gli obiettivi delle Nazioni Unite

di Annarita Cacciamani
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Ada Rosa Balzan si occupa di sostenibilità da oltre vent’anni. È stata una delle prime a occuparsene in Italia in maniera scientifica, quando le tematiche della responsabilità sociale non erano ancora al centro dell’attenzione e dell’interesse dell’opinione pubblica. Oggi è una delle maggiori esperte del settore in Italia e ha fondato ARB SBpA, una start up innovativa che ha creato “Si Rating – Sustainability impact rating”, un algoritmo basato su strumenti internazionalmente riconosciuti in grado di misurare la sostenibilità dei criteri ESG e dei 17 obiettivi delle Nazioni Unite (SDGs).

«Essere sostenibili è l’occasione per sviluppare il proprio business»

Dottoressa Balzan, lei è stata una delle prime in Italia a trattare in maniera scientifica il tema della sostenibilità. Quale è stato il suo percorso di avvicinamento a queste tematiche?

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Ho iniziato ad appassionarmi a questo tema ancora prima di iniziare l’università. Mi sono accorta che le aziende e le imprese non potevano basarsi soltanto sul profitto, ma dovevano confrontarsi con il territorio in cui operano per lasciare e creare qualcosa. Ho iniziato perciò a lavorare per far capire che un sistema economico basato solo sul profitto non poteva essere sostenibile. In questo mi hanno aiutato molto i miei studi in Sociologia, dove mi sono laureata con una tesi sul turismo sostenibile, una delle prime in Italia sull’argomento.

Ormai sono oltre 20 anni che lei si occupa di sostenibilità, come è cambiata in questi anni la sensibilità degli enti pubblici e delle aziende?

Per tanto tempo in Italia sostenibilità ha significato soltanto green. Solo negli ultimi due anni con la pandemia e il lockdown si è capito che, forse, il modello economico basato solo sul profitto portato avanti da sempre non stava in piedi. Si è così cominciato a guardare al sociale perché ci si è resi conto che è l’uomo che impatta sull’ambiente con le sue azioni. Nel bene e nel male. Ora si cerca di lavorare in modo da adempiere a quanto richiesto dalle Nazioni Unite con l’Agenda 2030. La sensibilità su questi temi è cambiata sia nel pubblico, sia nel privato. Lo vediamo anche dai media. Giornali, tv e nuove media. Oggi in un giorno esce lo stesso numero di notizie legate alla sostenibilità che prima usciva in un anno. Bisogna perciò guardare con occhio critico per capire cosa è davvero sostenibilità e cosa usa il termine sostenibilità solo per risultare di moda.

Sono sempre più numerose le aziende che hanno al loro interno un responsabile CSR. Perché secondo lei è importante questa figura e cosa può fare in concreto?

È fondamentale per le aziende avere un referente interno che si occupi di Csr, di responsabilità sociale. È importante, in primo luogo, perché questa persona si occupa di raccogliere dati utili per capire le azioni da mettere in campo e i risultati ottenuti con tali azioni. In secondo luogo, è importante per diffondere in modo corretto le informazioni sia all’interno sia all’esterno evitando di cadere in errori o fake news. Il responsabile Csr deve essere una persona con un’adeguata preparazione e professionalità: a mio avviso deve esserci una figura dedicata totalmente a questo.

Qualche anno fa, lei ha fondato una start up che si occupa di “misurare la sostenibilità” delle aziende. Come funziona?

Si Rating è un algoritmo che misura la sostenibilità delle aziende in maniera scientifica, sviluppato in collaborazione ufficiale con Sasb, organizzazione no-profit che sviluppa standard contabili di sostenibilità, utilizzati dai più grandi player finanziari, tra cui Blackrock. È uno strumento pensato soprattutto per le piccole e medie imprese. Fa una sorta di check up dell’azienda e restituisce indicazioni utili per migliorare la propria sostenibilità. L’algoritmo prende in considerazione diversi aspetti e fa un’analisi dettagliata ponderata sulle dimensioni ambientali, sociali e di governance e sui 17 obiettivi delle Nazioni Unite.

Spesso sono le grandi aziende ad occuparsi di sostenibilità. Quale consiglio darebbe invece ad un’azienda medio piccola che vuole avvicinarsi a questi temi?

Le grandi aziende si occupano di sostenibilità perché in molti casi sono obbligate a farlo da precise prescrizioni di legge. Le piccole medie aziende si devono confrontare con la sostenibilità per diversi motivi, in primis perché a volte per restare in determinate filiere è necessario rispondere a requisiti di sostenibilità. Inoltre, essere sostenibili può dare l’occasione di entrare in determinati ambiti e sviluppare perciò ancora di più il proprio business. E, ultimo ma non meno importante, si crea un valore che si riflette sul proprio territorio: territorio che beneficerà dei servizi che si offrono.

 

Photo cover: iStock / NicoElNino

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